Satira: Come andò a finire, cronache dall’anno 2122.

di Enea de Virgiliis

Tempo fa, un certo dottor Goebbels teorizzò il fatto che una menzogna, sistematicamente ripetuta, venisse alla fine percepita come verità. Un’ennesima dimostrazione di ciò si è avuta nel corso del secolo passato con l’immigrazione. Se il ricco Occidente, segnatamente l’Europa, divenne la meta dei poveri della Terra, l’Italia, paese tollerante e dalla giustizia lassista, fu presto letteralmente presa d’assalto. Uomini caritatevoli (specialmente verso sé stessi e i propri familiari) intuirono il pericolo che un simile rivolgimento sociale avrebbe potuto causare. L’arrivo in massa di centinaia di migliaia, anzi, di milioni di uomini e donne di razze, culture e religioni diverse era un indubbio trauma per una popolazione provincialotta e chiusa, per un Paese che non aveva alle spalle altro impero che quello da operetta d’Abissinia, oltretutto conquistato non del tutto così agevolmente. L’italiano medio vedeva con scarsa simpatia non solo l’abitante della città vicina, ma pure quello del quartiere limitrofo. Come avrebbe potuto, si chiesero menti illuminate, un napoletano fraternizzare con un congolese quando non digeriva un casertano? Al tempo stesso non era assolutamente possibile chiudere le frontiere. Un simile provvedimento, infatti, avrebbe comportato un grave danno ai menzionati uomini caritatevoli. Essi sarebbero rimasti privi della possibilità di sentirsi buoni accogliendo i fratelli migranti a spese dell’erario e offrendo loro un lavoro sottopagato nelle proprie imprese. E qui tornò utile il crucco citato in apertura, maestro di propaganda, che poi si preferì definire marketing. L’italiano medio, osservarono le classi dirigenti in grembiule da officina, è un individuo rozzo, meschino, ignorante, interessato solo al suo orticello. L’unico modo per fargli accettare un’immigrazione massiccia e selvaggia, che avrebbe stravolto la sua vita e la sua terra, era fargliela sembrare bella… Trovato! Gli immigrati sono una risorsa. Gli immigrati svolgeranno i lavori che gli italiani non vogliono più fare e pagheranno loro le pensioni. Lì per lì lo stolto popolaccio abbozzò.

            L’aumento dell’immigrazione e il sopraggiungere della crisi economica, tuttavia, fecero riflettere più di un italiano sul senso vero di quella definizione: risorsa. Un giorno un uomo privo di particolare talento, ma dotato di onestà e rigore intellettuale, spinse oltre la sua speculazione. Se l’immigrato è una risorsa, questo il ragionamento, dovrà tornarmi in qualche modo utile. Come? Svolgendo lavori che io, autoctono, non voglio fare e pagandomi la pensione. A questo punto si chiese se sarebbe stato conveniente per lui lavorare in fonderia per 800 euro al mese, e si rispose di no. Valutò, quindi, la possibilità che fosse l’immigrato a lavorare in fonderia, corrispondendo a lui la paga. E l’ipotesi gli piacque. Con i contributi dell’immigrato, inoltre, avrebbe pure maturato un po’ di pensione. Non tutta, perché la riforma Fornero aveva devastato il campo previdenziale. Per la rendita, occorreva che fossero in più di uno a svolgere i lavori che lui non gradiva, ovviamente retrocedendogli stipendio e contributi. Una causa pilota, patrocinata da un bravo avvocato, portò a una sentenza evolutiva della Suprema Magistratura, che tolse al lavoro sostitutivo svolto dalle risorse immigrate ogni sgradevole sensazione di schiavitù, sdoganandone la prassi tra la gente perbene. Un successivo intervento legislativo, teso ad armonizzare l’accesso a questa tipologia contrattuale, pose il limite massimo di venti risorse per ogni cittadino. Una volta esaurita la propria capacità lavorativa (per anzianità, infortunio o malattia), le risorse venivano reimpiegate nella produzione di energia elettrica ricavata dalle biomasse, nella parte delle biomasse medesime, ovviamente. Tutti lavori erano consentiti alle risorse, eccezion fatta per l’attività politica e i pubblici impieghi. Tale divieto derivava unicamente da motivi di logica, in quanto definirli lavori sarebbe stato un ossimoro. Le risorse, tuttavia, non mostrarono di gradire tale evoluzione del loro ruolo sociale.

La costante rarefazione degli arrivi spontanei sul suolo italiano costrinse il legislatore a una ulteriore specificazione normativa, in base alla quale il mantenimento dello status di cittadino italiano era subordinato alla documentazione di una presenza familiare sul suolo nazionale da almeno 400 anni. Venne così risolto brillantemente il problema della gestione degli immigrati di terza e quarta generazione, anche se questa misura si rivelò un mero rimedio provvisorio. La società globalizzata, infatti presentava il suo conto all’Italia: il diffondersi in tutto l’Occidente di tale valorizzazione dell’immigrazione (modello che consentì a Israele di chiudere definitivamente la questione palestinese, malgrado gli immigrati fossero proprio gli ebrei), rese sempre più raro l’ingresso volontario di manodopera e, onde prevenirne l’importazione selvaggia dai luoghi d’origine, si fissarono in trattati internazionali le quote massime per ciascun Paese, il tutto in un’ottica di ecosostenibilità per il Terzo Mondo. Un deputato di una formazione ambientalista commosse l’intero Parlamento europeo stigmatizzando la denutrizione delle tigri e dei pitoni a causa dello spopolamento dell’India, conseguente alle emigrazioni.

            La scarsità della manodopera divenne un problema serio. I vari tentativi di reclutamento, quali le retate nei ristoranti etnici, lasciarono il loro tempo. Fu allora che, con l’importazione dalle zone d’origine contingentata per questioni ecologiche, al Nord ci si ricordò che anche l’immigrazione interna era pur sempre immigrazione e quindi una risorsa. In breve gli uffici pubblici e le pizzerie furono teatro di rastrellamenti feroci. Uomini vestiti in maniera anonima, per sembrare un deja vu, nelle serate di nebbia setacciavano le vie delle città, affiancandosi alle loro prede cui sussurravano nell’orecchio un maligno iamme?. Se lo sventurato, preso alla sprovvista, rispondeva, l’invito ad andare si concretizzava in un viaggio senza ritorno. Esauriti anche i meridionali, con la grande industria ormai pressoché priva di risorse, si poté assistere al rifiorire dell’artigianato, mentre l’Inps, rimasto senza personale e contribuenti, chiudeva definitivamente, lasciando solo un vago ricordo di sé.

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